REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA:
GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
IL I° BATTAGLIONE PARACADUTISTI DELLA GNR "MAZZARINI"
L'ultima battaglia dei parà della GNR
Nino Arena
- Questa che pubblichiamo è la storia degli
ultimi giorni di lotta e di sacrifici del Battaglione Paracadutisti della
Guardia Nazionale Repubblicana "Mazzarini". Il racconto è
tratto dall'ultimo capitolo del libro di Nino Arena "I° Battaglione
Paracadutisti GNR Mazzarini" e costituisce una testimonianza veramente
eccezionale, anche perchè documentatissima, su quelle che furono
la storia e la sorte dei reparti combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
- Nomi, episodi, situazioni emergono nella ricostruzione
operata da Nino Arena con chiarezza e precisione, e forniscono così
il quadro completo di una realtà per molti aspetti, e per troppo
tempo, ignorata nella sua globalità probabilmente anche da molti
di coloro che ne furono protagonista
- La realtà di un esercito, quello della Repubblica
Fascista, che fino all'ultimo, anche quando speranze e illusioni erano
del tutto crollate, restò compatto e fedele, con i suoi ufficiali
e i suoi soldati, ai valori e ai fondamenti morali e politici che l'avevano
animato e guidato durante i seicento gloriosi giorni della RSI.
- Una realtà che costò a questi combattenti
lacrime, sangue e infinite persecuzioni, come testimoniato dal "Mazzarini"
che su poco più di 350 effettivi ebbe ottanta Caduti.
- Ma il libro di Nino Arena, con le rapide e acute
annotazioni a commento dei fatti rievocati, apre anche nuove prospettive
di valutazioni su determinati aspetti della vita e delle vicende della
Repubblica Sociale Italiana: non ultimi gli errori strategici e tattici
in cui incorsero i capi politici e militari repubblicani nella guerriglia
antipartigiana.
- Un documento prezioso, in definitiva, che porta
un grande contributo alla opera di revisione storica ormai in atto sulla
RSI e sul Fascismo Repubblicano.
- Pisanò
Il 25 marzo cadeva a Romagnano, in un agguato, il
paracadutista Fausto Bellotti, fratello di Franco morto qualche giorno
prima, il 16, durante la difesa del Presidio.
Ben più triste fu invece la vicenda che colpì
dolorosamente il Cap. Magg. Attilio Cucchiar, innamoratosi, corrisposto,
di una ragazza di nome Piera conosciuta durante un servizio di sorveglianza
territoriale nei pressi di Gargallo.
I due giovani si frequentarono, si fidanzarono ufficialmente
intenzionati a sposarsi, pur nella difficile situazione in cui si viveva
all'epoca, in quel terribile periodo, in quelle perigliose, circostanze,
in quel pericoloso contesto sociale, umano, ambientale, politico.
Un pomeriggio, mentre Attilio si stava recando a
casa della fidanzata dopo aver percorso diversi km. dalla sede di normale
residenza del reparto (lo faceva spesso quand'era libero dal servizio)
venne fatto segno a diversi colpi di arma da fuoco; Cucchiar reagì
prontamente all'agguato e i suoi assalitori si dileguarono.
Maggio
1944. Paracadutisti del Mazzarini
Tornarono numerosi a notte nel cascinale di Piera,
prelevarono con la forza la ragazza minacciando con le armi i familiari
e la violentarono ripetutamente restituendola alcuni giorni più
tardi in gravi condizioni fisiche e psichiche alla famiglia angosciata.
Ricoverata in ospedale, Piera moriva per le lesioni subite,
alcuni giorni più tardi. Un delitto trasversale, degno della migliore
cultura mafiosa anche se gli "uomini d'onore" forse, si sarebbero
limitati, nel Sud, a rispettare la donna.
Non fu così per gli "uomini" che,
nel Nord, militavano nella "resistenza".
Il 29 marzo moriva l'allievo paracadutista Ennio
Costanzi che, comandato ad una corveé dall'albergo Centrale di Borgomanero,
partiva con viveri diretto al ristorante dello Sport ma non arrivava a
destinazione. La stessa sorte toccava alcuni giorni dopo all'allievo Francesco
Lovato diretto ugualmente all'albergo Centrale. Scompariva senza lasciare
traccia nel buio della notte alla stessa stregua di Rinotti e Costanzi.
Non furono più ritrovati. Tutti questi ragazzi, imprudentemente,
avevano disobbedito all'ordine di farsi scortare.
Il mese di marzo era stato terribile per il "Mazzarini"
poichè erano morti 18 paracadutisti ed altri 16 erano rimasti feriti.
Un pesante bilancio di perdite incolmabili. A fine mese cadevano ancora
per agguato a Vercelli i Serg. Magg. Giovanni Coddura e Sisto Germinario.
Il mese di aprile sarebbe stato ancor più tragico. I primi di aprile
il presidio di Romagnano veniva ceduto alla responsabilità di un
altro reparto della G.N.R. e la Compagnia del "Mazzarini" si
portava a Novara nella Caserma "Passalacqua", mentre avveniva
una necessaria ristrutturazione territoriale con il rafforzamento nella
provincia del contingente presidiato che vedeva la presenza del Btg. O.P.
(Ordine Pubblico: n.d.r.) provinciale G.N.R., del Btg. d'assalto "Venezia
Giulia" in Val d'Ossola, del 5a Btg. d'assalto "Pontida"
nel Biellese e l'arrivo imminente in zona dei Btg. I° Controcarri,
I° Granatieri, l° "Pontida" dislocati da Vercelli a Castellazzo
Novarese e rinforzati da elementi G.N.R. speciali Ferroviaria, Postelegrafonica,
Forestale, Stradale con 2 Compagnie G.N.R. di Frontiera. La Brigata Nera
"Cristina" di Novara, rinforzata da elementi della B.N. "Lucca",
controllava a Nord Est la provincia, mentre la sponda nord del Verbano
risultava presidiata dai Btg. "Castagnacci" e "Scirè"
della Xa Mas fra Arona e Verbania, dal 2° Btg. Genio F.C., da un Btg.
LL. dell'I.M.L., dalla 1021° Cp. di Guardia Presidiaria, da reparti
tedeschi del 15° Rgt. Polizei e della 29a Divisione Waffen SS "Italien".
Il mese di aprile ebbe inizio con nuovi e pesanti
attacchi aerei anglo-americani, con l'intensificarsi di mitragliamenti
sulle strade, ferrovie, campagne, ponti sul Ticino e sul Sesia, stabilimenti
industriali. Si intensificarono anche gli attacchi dei partigiani, aumentarono
gli agguati, i prelevamenti di persone, i furti e le rapine pseudo politiche,
le uccisioni isolate nelle strade di campagna e gli attentati dei GAP nelle
città: il solito triste corollario di delitti che si trascinava
pesantemente dietro la guerra civile....
Le due compagnie del "Mazzarini" rimaste
ancora decentrate in provincia: la 2a del Cap. Vincenzo Carrieri poi sostituito
dal Ten. Alvaro Onesti e la 3a del Cap. Nereo De Barba, si riunivano a
Borgomanero per irrobustire il presidio dell'importante località,
crocevia del Val Sesia - Val d'Agogna, fronteggiando la situazione che
si andava degenerando di giorno in giorno a causa dell'inazione politico-militare
delle autorità tedesche. Aumentarono ancor più i mitragliamenti
aerei, ormai anche in funzione di appoggio tattico ai partigiani, si fece
ancor più difficile il servizio di controllo e di guardia che non
dava tregua ai militi, si intensificarono gli attacchi ai Presidi e gli
agguati.
Il comando di battaglione riusciva comunque a mantenere
i collegamenti con i Presidi, a rifornire del necessario Borgomanero, a
fornire scorte a colonne logistiche per i diversi Presidi della G.N.R.,
facendo nel contempo ampia provvista di viveri e munizioni per ogni eventuale
emergenza per tempi più calamitosi.
Continuarono le uccisioni e i ferimenti di uomini
del "Mazzarini". Il 21 aprile mentre i paracadutisti Mario Benetti
e Roberto Guerrieri si trovavano in libera uscita a Borgomanero intenti
a sorbire una bibita in un bar, venivano aggrediti improvvisamente alle
spalle da alcuni partigiani e trucidati con raffiche di mitra, senza aver
avuto il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di chi li stava
vilmente assassinando. Si salvava dall'agguato il paracadutista Monaco
che reagiva, feriva un aggressore portato poi via dai partigiani. Ferito
anche il proprietario del bar.
L'azione delittuosa e vile veniva poi definita "esemplare"
nei testi della resistenza, col solito frasario bolscevico a base di "feroci
aguzzini" , "torturatori efferati", "civili usati come
scudo dai nazi-fascisti" e di "smembramenti di patrioti con parti
anatomiche date in pasto ai cani".
Venivano esaltati come atti di eroismo semplici
atti criminali e delinquenziali; aumentato a dismisura il numero dei nemici
sia quando venivano uccisi, sia quando assalivano i patrioti (1000 sarebbero
stati così i fascisti presenti a Borgomanero, rispetto ai documentati
180 elementi del "Mazzarini"), come inventato nel libro: "Il
Monterosa è sceso a Milano" di Moscatelli e Secchia, noti esponenti
stalinisti del PCI...
In quel drammatico frangente che precedeva il crepuscolo
tragico della RSI, i "buoni falsi borghesi" e l'infido clero
del Novarese, combatterono subdolamente la loro piccola battaglia personale,
strisciante, velenosa, sommersa, ingannevole, tentando di fare opera di
perfido convincimento presso i singoli per spingerli ad abbandonare i reparti,
cedere le anni, rifiutare di battersi, assicurando ai potenziali disertori
l'appoggio della Chiesa e del C.L.N. ed ogni più ampia garanzia
di salvezza fisica: una allettante prospettiva il più delle volte
non rispettata ma che l'umana debolezza poteva accettare, giustificare
e valutare prevaricando i dubbiosi e gli indecisi. E invece non ci furono
cessioni alle lusinghe, cedimenti morali alle promesse, timori alle minacce
avanzate: gli uomini del "Mazzarini" avevano fatto liberamente
la loro scelta, avevano ripreso le armi per l'Onore d'Italia, non vollero
rinnegare impegni personali e giuramenti vincolanti e rimasero nei ranghi.
Il 24 aprile il CLNAI diramava l'ordine segreto
di insurrezione "Aldo dice 26x1" alle formazioni ribelli della
1a zona (Biellese, Vercellese, Novarese) ordinando ai partigiani di confluire
su Santhià, Vercelli e Novara mentre i nuclei GAP-SAP iniziavano
nelle città le prime sparatorie per allarmare i Presidi e distogliere
i comandi dai movimenti esterni che stavano realizzando i presupposti stabiliti
dal piano difensivo E.27, un piano che prevedeva come contromossa una serie
di movimenti e concentramenti, fra cui quello del Novarese che stabiliva
due criteri di spostamento per i reparti repubblicani: A (tempestivo) B
(improvviso) con concentramento di tutte le forze della RSI nel capoluogo.
Gli attacchi preliminari che si erano manifestati
a Borgomanero, Romagnano, Domodossola, Gravellona Toce avevano anticipato
e svelato le intenzioni avversarie e indotto i comandi a diramare gli ordini
di ripiegamento in concomitanza col ritiro dei presidi tedeschi, parte
dei quali ottemperarono all'ordine mentre altri, in combutta col CLNAI,
rifiutarono di eseguirlo richiudendosi nelle Caserme in vigile attesa,
così come stabilito dagli accordi Wolff-Dulles con il Piano "Crossword"
che prevedeva il disimpegno offensivo della Wehrmacht /Polizei con le formazioni
del CLNAI.
I ripiegamenti dei Presidi italo-tedeschi su Novara
avvenirono con una certa regolarità, nonostante sporadici attacchi
di formazioni ribelli e incursioni di aerei anglo-americani.
Sulla Statale 229 Novara - Borgomanero - Omegna
- Gravellona si ritirarono i Presidi provenienti dalla Val d'Ossola, mentre
sulla Statale 32-33 quelli di Verbania - Intra - Stresa - Arona comprendenti
il Btg. "Venezia Giulia", i Btg. "Castagnacci" e "Scirè",
la 603a Cp. del Btg. O.P. G.N.R.-Novara e reparti sfusi della G.N.R. di
Frontiera, formazioni di alcune BB.NN. e i presidi tedeschi di Polizei
rimasti fedeli al comando del Cap. Stamm: complessivamente circa 4800 uomini,
con una cinquantina di automezzi, una decina di carri armati e autoblindo
che subivano alcune azioni di disturbo dalla 109' Brg. "Garibaldi",
dal Btg. "Camasco" e bande locali, mentre scendevano verso il
Verbano la "Beltrami" e la 2a "Garibaldi-Redi" seguite
dalla "Valgrande", dalla "Bariselli" e dalla "Flaim"
che, sconfinata in Lombardia, ripiegava verso il Varesotto diretta su Tradate.
Ma la robusta colonna italo-tedesca spazzava via ogni ostacolo sulla sua
marcia, tanto da costringere il comando della 1a zona partigiana ad inviare
di rinforzo le Brg. "Rocco" e "Servadei" su Menia e
Arona e la 6' Brg. "Nello" nella zona di Cameri, nel tentativo
di impedire l'afflusso a Novara dei reparti della RSI di Galliate-Bellinzago.
Il 24 aprile alcuni parlamentari del CLN chiesero
un colloquio col Cap. De Barba a Borgomanero, per trattare, dissero: "una
onorevole resa del presidio" ponendo come condizioni indiscutibili:
cessione delle armi, accettazione della condizione di prigionieri di guerra,
cessazione di ogni atto ostile. Si trattava della solita proposta avanzata
da personaggi più o meno in mala fede, subordinati ai comandi superiori,
non in grado per congenita riottosità di far rispettare accordi
e condizioni col rischio reale di veder invalidati da altri i patti sottoscritti
e di trovarsi, ormai disarmati materialmente e moralmente, in balia di
sanguinari individui ansiosi solo di vendette e di sangue. Il Cap. De Barba
volle mettere al corrente i suoi paracadutisti della proposta del CLN-Borgomanero
e la risposta univoca che ricevette fu la seguente: "Comandante, voi
ordinate e noi come soldati ubbidiremo; ma se voi chiedete il nostro parere
noi risponderemo che non cederemo le nostre armi!".
Tale fu la risposta che giunse come una doccia fredda
al CLN locale e soltanto proponendo un compromesso, fu possibile per i
membri del CLN salvare la faccia garantendo lo sgombero della strada per
Novara, la salvaguardia del reparto per tutto il percorso dietro consegna
soltanto dell'armamento pesante: una proposta accettabile senza ulteriori
spargimenti di sangue e senza perdita alcuna di dignità.
In caso di mancato accoglimento il CLN avrebbe fatto
bombardare ancora una volta la caserma dall'aviazione anglo-americana aggiungendo
il tiro di mortai pesanti sull'edificio....
L'ultimatum del CLN venne seguito da alcuni movimenti
di formazioni partigiane fra cui la Brg. 118a "Servadei", la
124a "Prinetti", la 84a "Mustacchi" con la 6a "Nello"
di riserva: complessivamente 1080 ribelli di cui 430 per il primo attacco
e il resto come riserva e controllo territoriale, anche se a Borgomanero
non venne, combattuta alcuna battaglia poichè il presidio si ritirò
regolarmente a bordo di automezzi inviati dal comando di battaglione, raggiungendo
Novara senza ulteriori problemi nella giornata del 25.
Lo stesso giorno del rientro dei presidi della Valsesia,
era stato ucciso a Novara il Serg. Giuseppe Ventura mentre in motocarrozzetta
assieme al fratello Serg. Magg. Savino stava recandosi alla Banca d'Italia
per prelevare i fondi di battaglione. Fatti segno a raffiche di mitra,
rimaneva gravemente ferito Giuseppe, che trasportato morente all'infermeria
della "Passalacqua", moriva subito dopo l'arrivo in caserma fra
le braccia del fratello Savino....
La situazione diveniva di ora in ora sempre più
difficile, caotica per mancanza di collegamenti e notizie attendibili,
mentre aumentavano le segnalazioni di attacchi avvertiti un pò dovunque,
con notizie preoccupanti per l'avanzata degli anglo-americani nella valle
del Po. La conclusione di tutte queste vicende fu l'impostazione in loco
di un piano difensivo autonomo, a protezione del capoluogo, per affidare
ad un unico responsabile il comando della città, e creare un fulcro
di aggregazione e riferimento per i vari reparti che affluivano dalla Provincia.
Il Comandante provinciale G.N.R. Col. Mariotti,
affidò al "Mazzarini" il compito di appoggiare e proteggere
l'avvicinamento dei reparti italo-tedeschi provenienti dalla Statale 32
del Verbano e di controllare le località viciniori di Trecate e
Galliate nell'ipotesi, non improbabile, di dover proseguire successivamente
la marcia verso Milano delle FF.AA. repubblicane del Vercellese-Novarese,
dirette verso la Valtellina.
Ma subito il piccolo distaccamento di Trecate venne
attaccato da forze preponderanti e costretto alla resa. Moriva il S. Ten.
Roberto Bianchi, catturato assieme ad alcuni paracadutisti nei pressi della
località, e fucilato il 27 aprile con i suoi 18 uomini, i cui nomi
rimasero ignoti. Lo stesso giorno, durante alcuni scontri a difesa di Vercelli,
morivano il Serg. Magg. Ballabio e il paracadutista Franco Albertini. Il
primo non aveva fatto in tempo a raggiungere Novara con le munizioni che
aveva prelevato; il secondo, ferito a Romagnano Sesia nel combattimento
del 16 marzo e ricoverato all'Ospedale Militare di Vercelli, era stato
brutalmente scacciato dal nosocomio da gruppi di partigiani che avevano
invaso l'ospedale, gettato senza ritegno alcuno con gli altri degenti feriti
sul greto del torrente Roggia antistante e lì ucciso Spietatamente
con gli altri militari feriti....
Il 29 aprile giungeva a Novara la notizia della
morte di Mussolini a sconvolgere ancor più il morale dei difensori,
mentre il CLN raddoppiava gli sforzi per giungere alla resa, approfittando
dello stato di depressione morale dei soldati della RSI e di mancanza di
ordini.
Fu necessario ancora una volta superare fieramente
ogni avversità ed agire di conseguenza. Consistenti reparti della
RSI si trincerarono a Castellazzo Novarese resistendo tutto il 29 aprile,
allorchè conclusero un accordo di resa col CLN: si trattava di circa
1700 militari dei Btg. G.N.R. "Pontida" e "Granatieri",
dei Btg. Complementi delle Div. "Italia" e "Monterosa",
di militari della "Muti" e della B.N. "Cristina" assieme
a familiari che avevano seguito la ritirata (circa 500 civili). Il CLN/CVL
completava il giorno 30 l'accerchiamento di Novara bloccando le Statali
229, 32, 11, 211, 341, intimando la resa del Presidio della città,
che aveva in parte alleggerito il suo contingente dopo la partenza delle
autorità civili e di alcuni reparti militari diretti verso Legnano,
Saronno, Corno. Rimaneva ancora libera per un certo tempo l'autostrada
Torino-Milano, anche se il tentativo di una colonna tedesca di superare
lo sbarramento falliva col rientro in città del reparto. Ma falliva
ugualmente, in campo opposto, il tentativo di esponenti del CLN di ottenere
la resa del "Mazzarini": proposta che veniva respinta dal Cap.
Bovone mentre andava invece in porto un accordo fra CLN e tedeschi, curato
da esponenti antifascisti con il Col. Hann, Comandante del presidio tedesco,
assistito e confortato nelle sue decisioni dal Col. Buck del 15° Rgt.
Polizei, affluito nel frattempo a Novara dal Vercellese con una colonna
mista italo-tedesca. Alcuni comandanti tedeschi rifiutarono però
ogni tentativo di accordi con i partigiani, decisi ad arrendersi agli angloamericani
ormai dilaganti nella pianura padana, e si dichiararono solidali con i
comandanti italiani offrendo collaborazione, garanzie morali, personali
e operative.
Una più numerosa e agguerrita colonna tedesca
riusciva il giorno 30 aprile a superare a Santhià lo sbarramento
partigiano sull'autostrada (12a e 182a "Garibaldi"), deviava
per Rho, si batteva a Legnano sgomberando la strada dai partigiani ed ottenuto
un accordo col CLN locale proseguiva verso il confine svizzero. Contemporaneamente
il grosso delle formazioni garibaldine del Novarese (circa 5000 comunisti)
al comando di Moscatelli, evitava Vercelli e Novara ancora presidiate dalle
truppe della RSI e puntava su Milano via Busto Arsizio, sguarnendo in tal
modo l'assedio a Novara nell'intento di raggiungere un risultato eclatante
da un punto di vista politico anche se demagogico sotto il profilo operativo.
Ne approfittavano i reparti italo-tedeschi provenienti
dalla Val d'Ossola, che si spingevano verso Novara in cui si era instaurata
una situazione di stallo col presidio tedesco (circa 3000 militari con
mezzi corazzati) rimasto neutrale, ed oltre un migliaio di militari della
RSI. La "non belligeranza" dei tedeschi, così come contemplata
dal piano "Sunrise" siglato a Caserta dai rappresentanti tedeschi
del Gruppo d'Armate C e gli anglo-americani del 15° Gruppo d'Armate,
stabiliva di non attaccare le formazioni del CLN se non per difesa: un
vero e proprio tradimento per la RSI, di cui Mussolini era venuto a conoscenza
a Milano mentre si trovava nell'Arcivescovado a colloquio con i responsabili
del CLNAI, con la conseguenza che i reparti della RSI non avrebbero potuto
più contare sull'appoggio delle FF.AA. germaniche anche se per semplice
difesa. Le minacce di morte formulate dal CLN novarese, in cui militava
l'attuale Presidente della Repubblica, in caso di rifiuto della resa, aggravavano
psicologicamente la già difficile situazione, considerando che talune
minacce, come il bombardamento delle caserme novaresi, aveva già
avuto il giorno 27 un primo avvertimento con un attacco dimostrativo di
caccia-bombardieri che mitragliavano le Caserme "Passalacqua"
e "Cavalli" nonostante il vivace tiro difensivo delle armi automatiche.
Pochi i danni e soltanto un piccolo incendio prontamente domato. Lo stesso
giorno, singolarmente, il comando Platz-Kommandantur Novara (MK 1021) iniziava
trattative col CLN suscitando fermento e contestazione fra i reparti italo-tedeschi
dissenzienti che disponevano ancora di 14 mezzi corazzati e 6 autoblindo.
Il 29 aprile il Cap. Bovone parlò ai suoi
paracadutisti invitandoli a reagire allo stato di prostrazione causato
dalla morte del Duce e dalla precaria situazione: li incitò a continuare
a fare il loro dovere, a mantenere la calma, a superare con virile fermezza
ogni avversità, presente e futura.
Nel frattempo la marcia della colonna italo-tedesca
proveniente dal Verbáno sulla Statale 32 proseguiva lentamente ma
sicuramente, contrastando con le armi la 109a "Garibaldi" e il
Btg. "Camasco" e, spazzando via ogni ostacolo, concludeva il
giorno 30 la sua marcia con l'arrivo a Novara dei circa 2500 militari italiani
e tedeschi che la componevano. Il Btg. "Venezia Giulia" si riuniva
al "Mazzarini" nella Caserma "Passalacqua". Lo stesso
giorno comunicati radio e migliaia di manifestini lanciati da aerei, rendevano
nota la cessazione delle ostilità da parte delle FF.AA. della RSI
con l'avvenuta resa al 4° Corpus USA (Gen. Tritemimere) del Gruppo
d'Armate "Liguria" del maresciallo Graziani. La garanzia del
nemico che i soldati repubblicani sarebbero stati considerati a tutti gli
effetti giuridici prigionieri di guerra, dava un maggiore senso di sicurezza
a tutti i combattenti della RSI ormai decisi a consegnarsi come prigionieri
solo agli anglo-americani.
Si trattava di resistere ancora pochi giorni rifiutando
ogni ulteriore possibilità di resa al CLN, che non avrebbe mai potuto
garantire in maniera affidabile e accettabile la sicurezza di coloro che
si consegnavano disarmati nelle mani dei partigiani.
In quei drammatici frangenti veniva impartito l'ordine
di bruciare e distruggere tutti i documenti del reparto, eseguito dal S.
Ten. De Nardo con l'aiuto di alcuni uomini.
Stessa sorte toccò alla Bandiera del Battaglione,
bruciata fra la più grande commozione e con l'onore delle armi.
Nel pomeriggio del 1° maggio giungevano a Novara le avanguardie della
34a Div. Fanteria USA "Red bull" che prendevano contatto dapprima
col comando Presidio, stabilendo con il Col. Hann prima e poi con il Col.
Mariotti, le modalità di resa così come concordato a Castiglione
delle Stiviere dal Gen. Pemzell Capo di SM della "Liguria". I
soldati repubblicani venivano considerati "prigionieri sulla parola",
una clausola che lasciava ai militari della RSI l'armamento leggero e la
possibilità di difendersi se attaccati da parte di "gruppi
ostili (leggasi partigiani): uno smacco cocente per il CLN anche se le
formazioni partigiane "si schierarono fra Romagnano e Carpignano-Biandrate,
per bloccare eventuali infiltrazioni di reparti "fascisti" segnalati
fra Salussola e Cavaglià; una remota eventualità considerando
oggettivamente che i suddetti reparti si erano posti sulla difensiva a
Buronzo decisi a consegnarsi soltanto agli anglo-americani.
Ancora il 2 maggio, a dimostrare la vulnerabilità
dello schieramento messo in atto dal CLN, il 2° Btg. paracadutisti
"Nembo" proveniente dalla Val d'Aosta, penetrò indisturbato
in Val Sesia giungendo sino a Gattinara, ripiegando poi a Rovesenda e in
quella zona consegnandosi agli americani della 34a Divisione.
Il l° maggio alle ore 22, avvenne la consegna
delle armi nelle caserme novaresi con un protocollo formale e corretto
come si addice a militari, con dignità e disciplina, alla presenza
dei rappresentanti delle FF.AA. statunitensi: nella circostanza, il Cap.
Pio Carlo Bovone dichiarò disciolto fra la commozione dei presenti
il l° Btg. paracadutisti della G.N.R. "Antonio Mazzarini".
Lo stesso giorno moriva a Novara il paracadutista Walter Contardi, assassinato
a tradimento dai partigiani, e il 3 maggio venivano messi a morte a Vercelli
i paracadutisti Luigi Bracco, Ivo Gei e Teodoro Gignone, ultimi Caduti
del battaglione.
Il 2 maggio i militari della RSI della zona di Vercelli
e Novara venivano avviati con autocolonne nei campi di prigionia della
Toscana.
Si concludeva tristemente, fra i reticolati di un
campo di concentramento alleato, la storia del "Mazzarini": il
battaglione paracadutisti della G.N.R.
STORIA DEL XX SECOLO N. 4. Agosto 1995. C.D.L. Edizioni srl
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
L'Editore desidera ringraziare vivamente le "Edizioni Istituto Storico
RSI" per avergli gentilmente concesso la pubblicazione del presente
brano.